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Intervista a Jacques Audiard

29/09/2012 | Interviste
Intervista a Jacques Audiard

A Roma per presentare il suo ultimo lavoro Un sapore di ruggine e ossa (De rouille et d'os il titolo originale), il regista parigino Jacques Audiard si mostra alla stampa con fare deciso ed arguto, con tanto di pipa e cappello di feltro. Passato con successo all’ultimo Festival di Cannes, il film esce nelle sale italiane distribuito dalla BIM il prossimo 4 ottobre, e si appresta a bissare il successo del precedente capolavoro Il profeta. Tratto da una raccolta di racconti scritta dallo statunitense Craig Davidson, il film narra la storia di un amore, quello fra l'ex pugile Ali e la addestratrice di orche Stephanie, quest’ultima vittima di un incidente per il quale dovranno amputarle le gambe.

Come ha lavorato alla sceneggiatura di questo film, considerando che nei racconti dai quali è tratto non esistono i due protagonisti?

Sono partito dal fatto che avevo un forte desiderio di raccontare una storia d'amore, soprattutto dopo che ne Il profeta avevo mostrato uno spazio chiuso e così privo di luce. Quando mi sono imbattuto nei racconti di Craig Davidson, mi è stato subito chiaro come questa raccolta avrebbe potuto contestualizzare il mio desiderio, nonostante i personaggi siano differenti: nel libro, ad esempio, il ruolo che nel film è di Marion Cotillard, è un uomo e perde una gamba sola. Ho fatto questo cambiamento perché avevo la necessità di lavorare con un attrice che interpretasse un personaggio femminile così complesso e profondo, e Marion in questo senso era assolutamente perfetta.

Questo appare un film estremamente costruito sulla scrittura. Qual è il rapporto tra la sceneggiatura e la messa in scena?

Lo è, assolutamente, ma quello sul quale abbiamo speso più energie è stato fare in modo che questo non venisse percepito. Non volevamo dare modo alle spettatore di anticipare le scene, e quindi abbiamo lavorato sul ritmo del film, capendo dove potevamo accelerare o rallentare, in modo tale che i punti di raccordo fossero un elemento visibile solo nella sceneggiatura scritta. In questo senso il mio riferimento per girare è stato tentare di attenermi il più possibile alla vita reale, dove non c’è un copione che ti dice cosa succede dopo.

Il profeta è un film ricco di immagini e sequenze "brutali". In qualche modo anche qui c'è della brutalità ma affrontata con maggiore delicatezza.

Il profeta era un caso particolare perché affrontava un tema, quello del carcere, nel quale non si poteva non guardare a certi dettagli. In questo caso il nostro lavoro era quello di filmare dei corpi, soprattutto quello di una donna che, nonostante la sua mutilazione, a mio avviso possiede un’intrinseca carica erotica. Lo scopo era fare in modo che due persone si rivelassero attraverso l'amore, e attraverso i loro corpi.

Nei suoi film ricorre sempre un particolare elemento: i personaggi hanno una qualche mancanza. In questo caso ad esempio è fisica, ne Il profeta era invece della libertà. La sua è una scelta consapevole?

E’ probabile che quello della "mancanza" sia per me un espediente che utilizzo nelle sceneggiature, ma non è un fatto premeditato. Una cosa è certa la vera mancanza che ho cercato di far emerge nel mio film, non è tanto quella fisica ma quella dell'amore.

Serena Guidoni

 


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